Un caso di emergenzialità comprovata?
23.04.2025 / Camilla Chimetto
Ci troviamo in questo momento a vivere in un paese in cui costituzionalmente la democrazia e lo stato di diritto vengono fondamentalmente considerati i principi cardine del nostro apparato legislativo e del nostro vivere in collettività, eppure, abbiamo sopra di noi una classe politica che sta cambiando le regole del gioco e ha intenzione di farlo sempre di più.
L’attuale governo Meloni, dall’inizio del proprio mandato, 22 Ottobre 2022, ha ben presto messo da parte argomentazioni populiste per lasciare spazio al suo vero volto, autoritario e liberticida. Con il pretesto della sicurezza, che sembra essere minacciata da entità come migrantə irregolarə e non, attivistə e giornalistə non in linea con il pensiero della maggioranza, questo governo ha messo in atto un apparato di decreti e riforme che stravolgono non solo la nostra costituzione, ma anche i principi democratici sulla quale è fondata.
Mi sto riferendo in maggior misura all’ormai decreto legge sicurezza (n.1660), proposto dal governo al parlamento sotto ddl, ovvero disegno di legge, trasformato poi, tramite golpe burocratico, in decreto legge, strumento utilizzabile solo in caso di emergenza comprovata. Data questa presunta emergenzialità, dopo la pubblicazione del decreto in gazzetta ufficiale, avvenuta il giorno 11 aprile 2025, non sono tardate ad arrivare dichiarazioni da organi nazionali e sovranazionali che accusano il decreto del governo Meloni di presunta incostituzionalità e rischio di violazione dei diritti umani ( Dl Sicurezza, l’opposizione parla di “scippo istituzionale”: interviene anche l’Onu)
Non è il primo caso di utilizzo improprio dello strumento emergenziale del decreto legge nel nostro paese, è da diversi anni che svariati governi lo utilizzano, ma la differenza sta nel fatto che, questa volta il decreto sicurezza va a modificare il codice penale, inserendo “almeno quattordici nuove fattispecie di reato, tra cui occupazione abusiva di immobili, detenzione di materiale con finalità di terrorismo e rivolta all’interno di un istituto penitenziario. Pene inasprite per nove reati già esistenti.” (Decreto-Sicurezza-2025-Gazzetta-Ufficiale.pdf)
Per farvi un esempio specifico sulla repressione del dissenso operato da questo governo, vi cito la cosiddetta “norma anti-Gandhi” la quale si trova all’articolo 14 del dl Sicurezza, che punisce con la reclusione fino a 1 mese chi blocca la circolazione stradale o ferroviaria, mentre se il fatto viene commesso da più persone, la pena sale fino alla reclusione da 6 mesi a 2 anni. Questo è solo uno dei tanti articoli proposti, approvati e ora in vigore, del decreto che minano esplicitamente, non più tra le righe, la libertà di dissenso, la libertà di manifestare e creare opposizione, elementi essere il sale della democrazia.
Non esiste autentico sistema chiamatosi democratico che non includa alla base del suo processo di esistenza il conflitto messo in atto tramite il dissenso, la democrazia è e deve essere plurale ed egualitaria, per tutte le parti; e purtroppo la storia ci insegna che difficilmente questo avviene. Ma ora ci troviamo davanti ad una situazione in cui in maniera dichiarata e voluta ogni forma di dissenso esercitata che sia di tipo passivo o attivo, da parte dellə cittadinə, nelle carceri, in forma scritta su una testata giornalistica o in piazza da attivistə, venga per legge repressa e criminalizzata, in una situazione per giunta in cui il sovrafollamento delle carceri arriva al 130% con condizioni sovrumane e antigieniche. Capite bene che questa legge non risolve i problemi legati alla sicurezza di questo paese, ma al contrario li reprime senza prevenirli alla base, senza trovare delle soluzioni reali, acuendo le disuguaglianze sociali preesistenti e identificando il problema del degrado e della criminalità crescente in un nemico oggettivo, come i migranti, che già si trovano in condizione di marginalità e razzializzazione. Esplicitando il loro intento, procedendo nella lettura degli articoli ci imbattiamo nell’art 22 , il quale prevede fino a 10.000 euro per ogni fase del processo penale agli agenti coinvolti in procedimenti giudiziari; anche se condannati; anche se per reati colposi, anche se hanno causato danni accertati. Si tratta di un indennità penale non giustificata in uno scenario di violenza crescente e dichiarata da parte del braccio armato dello stato, ovvero le forze dell’ordine. Questo in un paese in cui le istituzioni europee continuano a richiedere l’applicazione dei codici identificativi, che continuano a non essere inseriti, ma gli agenti hanno invece in dotazione le bodycam che possono attivare o disattivare in qualsiasi momento per registrare “eventuali situazioni di violenza o resistenza a pubblico ufficiale”;converrete con la sottoscritta che in questo scenario qualcosa non torna: l’abuso di potere delle forze dell’ordine come viene perseguito penalmente?.
Nell’italia delle violenze inaudite avvenute durante il G8 di genova questo non è contemplato, ma al contrario queste leggi non fanno altro che legittimare e aumentare l’attuazione di uno stato sempre più vicino ad uno stato di polizia, cito: “ Il decreto autorizza gli agenti di pubblica sicurezza a portare senza licenza, anche quando non sono in servizio, alcune tipologie di armi previsti dall’art. 42 del TULPS ovvero arma lunga da fuoco, rivoltella, pistola di qualsiasi misura, bastoni animati con lame di lunghezza inferiore a 65 cm.”
In uno scenario internazionale sempre più preoccupante, in cui gli autoritarismi e le conseguenti manifestazioni mastodontiche in nome della democrazia si susseguono a batter d’occhio, l’ Italia gioca un ruolo di baluardo di apertura all’ascesa delle estreme destre in europa, erogano ad hoc leggi securitarie che tendono somigliare sempre di più ad un apparato legislativo di un regime, non di uno stato democratico; quelli da cui la nostra classe dirigente si dichiara lontana e biasimante. Chiaramente i fatti raccontano altro.
L’opposizione alla messa in atto di questo decreto si è fatta sentire fin dall’inizio, è ormai da mesi che la società civile, tramite associazioni, organizzazioni e reti nazionali di opposizione come la “rete no ddl sicurezza”, esprime il proprio dissenso e la denuncia nei confronti di questo pacchetto di legge. Manifestazioni e incontri di sensibilizzazione, da nord a sud ci si mobilita per la democrazia, creando non solo opposizione ma anche ostruzionismo all’approvazione del decreto. Per questo motivo il governo Meloni decide di trasformarlo da disegno di legge, a decreto, per velocizzare i tempi di entrata in vigore,, intraprende così la via più autoritaria, senza tenere conto del processo democratico tramite il quale questo disegno di legge stava venendo messo in discussione, non solo dall’opposizione parlamentare, ma anche dalla magistratura e dalla cassazione, organi fondamentali per la supervisione del rispetto alla costituzionalità e divisione dei poteri; principi che questo governo, vuole chiaramente colpire. In ultima battuta l’associazione nazionale dei magistrati, ANM, come citavo all’inizio dell’articolo dichiara: – Critiche al decreto arrivano anche dai penalisti, secondo cui “restano di fatto tutte le criticità del ‘pacchetto sicurezza’ relative alla inutile introduzione di nuove ipotesi di reato, ai molteplici sproporzionati e ingiustificati aumenti di pena, alla introduzione di aggravanti prive di alcun fondamento razionale, alla criminalizzazione della marginalità e del dissenso”-.
Subito dopo la conseguente messa in atto del dl sicurezza non sono tardate ad arrivare situazioni di abuso di violenza da parte delle forze dell’ordine, esplicitamente richiesti e legittimati dal ministero della difesa e dal governo tutto; nel weekend del 12 aprile violenze inaudite e di vario genere si sono consumate a milano in un corteo pacifico pro Palestina (https://www.youtube.com/watch?v=SEc glI 8 Ftw) . Per avvenimenti come questo, per una giustizia reale, non di parte e antidemocratica, la convergenza di opposizione tra partiti parlamentari e associazioni civili deve continuare, dalla messa in atto del dl sono passati una decina di giorni, ne rimangono altri 50 prima che il decreto si trasformi in legge abrogabile solo tramite referendum, il tempo che ci rimane per bloccare la deriva autoritaria e esplicitare la necessità di una presa di posizione delle parti coinvolte e dell’opposizione unita e reale. Convergiamo per la democrazia contro l’autoritarismo del governo Meloni.
Camilla Chimetto